Francesca Centofanti
E poi ci sei tu. Che non sei esattamente come ti vorrei io. Perché sei fatto anche di spigoli, di fossati e pozzanghere che puntualmente cerco di schivare, di smussare, di riempire.
Ma poi, inevitabilmente, ci casco dentro. Con tutti i piedi. E questa cosa mi fa arrabbiare. Perché quella voce bugiarda, un'anima gemella, ce l'aveva promessa. E mi raccomando - diceva - aspettala! Perché sarà proprio come la vuoi tu, farà tutto quello che vuoi e si comporterà esattamente come faresti tu. Come materializzata da una di quelle stupidissime app. Sará quella che non ti deluderà mai. Che ti amerà sempre, sopra ogni cosa e te lo dimostrerà tutti i giorni. Cascasse il mondo, non mancherà. Sará l'anima gemella omozigote perfetta. E se poi non fosse proprio gemella gemella, tranqui. La voce ha detto che la puoi rimandare indietro... anche senza scontrino di cortesia. E io, come tutti quanti, in quelle pozzanghere ci sono caduta più volte. A quegli spigoli ci ho sbattuto. E ho dato calci al pavimento. Perché non è vero che è tutto perfetto come la voce ci ha raccontato. Non è sempre come ci aspettiamo, non è tutto nero o tutto bianco. Ci sono momenti che quell'anima gemella, che sei tu, io la strozzerei sul serio. Ma poi arrivano altri momenti, in cui mi fermo a guardarmi allo specchio e mi accorgo di avere i tuoi stessi identici spigoli, i tuoi stessi identici fossati, le stesse fangose pozzanghere...finanche piú luride. E capisco. Capisco che sono proprio quelle benedette imperfezioni che ci hanno unito nel tempo, stretti, affiatati. Sono quegli abbracci. Il chiederci perdono dopo le nostre litigate che ci ha fatto innamorare, ogni giorno un po' di più, sempre di più. Ed è stato proprio l'andare oltre noi stessi, imparare ad amare quegli spigoli, quei fossati, quelle pozzanghere che ha reso il nostro amore, un amore adulto. È stato cosí che siamo passati dall'io al tu. Ed è da lí forse che abbiamo iniziato ad amarci, ma sul serio. E allora buon 50mo compleanno amore mio, anima gemella eterozigote imperfetta del mio cuore.
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Sono un po' di giorni che penso a questa notizia del bambino inglese, salvato in Italia. E non ci sto pensando per le solite ragioni, ovviamente importantissime, tipo che la vita dei bambini fragili in Italia è molto più protetta che in Inghilterra (quindi se avete figli piccoli non vi ci trasferite, oppure alle brutte scappate prima di trovarvi in situazioni senza via d'uscita).
No, ci riflettevo perché il medico del Gaslini, che non ci ha pensato manco mezza volta ad accogliere questi genitori stranieri e disperati, pur sapendo di andare incontro ad una operazione molto, molto complessa, è lo stesso medico che esattamente 20 anni fa al Bambin Gesù è rimasto curvo sul petto aperto di mio figlio per 12 ore, a tagliare e ricucire una ad una tutte le coronarie rimettendole al loro posto sull'aorta e l'arteria che avevano, autonomamente, deciso di invertirsi. Mi ricordo che quel giorno uscì dalla sala operatoria indicandosi i capelli per farci capire quanto fossero sottili i capillari di un neonato. Michielon si chiamava, Guido Michielon. E il 21 luglio 2003 diventó il mio eroe. Tornammo spesso all'ospedale per i controlli, che ancora oggi continuiamo a fare, poi lui si trasferì in Olanda per un tempo. Lo incontrammo, per caso, sempre al Bambin Gesù che Ema aveva circa 11 anni. Ci guardó da lontano in un corridoio pieno di gente e ci venne a salutare. Mise la mano sulla testa di mio figlio e lo chiamò per nome: "quanto sei cresciuto Emanuele, come stai?". Si ricordava del volto mio e di mio marito dopo più di 10 anni. E il nome del bimbo che aveva avuto in affidamento per quelle interminabili 12 ore, gli era rimasto incollato al cuore. Possiamo dire tutto alla nostra sfracellata Italia, ma di medici eroi, medici umani, medici che amano il loro lavoro come una vocazione ne abbiamo, grazie a Dio, in quantità. Papà,
quanto avrei desiderato che ieri sera tu potessi vedere i tuoi nipoti tornare dalla gmg di Lisbona. Spalmati tra letti e i divani di casa. Stanchi, distrutti, febbricitanti ma con il tuo stesso sorriso stampato sul volto, quello che ti parte dal cuore e ti esplode in faccia (come mi piace descriverlo). Quello che lo vedi che è diverso, perché ti ha scavato giù fino in fondo e cercherà di restare lì per sempre. Quello che si interroga: a má, ma hai sentito che silenzio all'adorazione? Un milione e mezzo di persone e non volava una mosca. Quello che non hai voglia di tornare, ma che vuoi fare cose straordinarie, e anche, umilmente, quelle ordinarie. Quello che magari continui ad essere il casino che sei, ma nel tuo piccolo, inizi la semina. Proprio come hai fatto tu. Come nel vangelo che abbiamo scelto per il giorno del tuo funerale: «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto», perché tu non hai mai fatto troppo rumore. Hai portato frutto come quel chicco di grano che è morto, in silenzio, senza che probabilmente nessuno se ne sia accorto, ma che al momento opportuno è fiorito. Negli altri, in me, nei tuoi nipoti anche senza averli mai abbracciati. Perché la fede vola oltre. Proprio come dice Buzz light year. Oltre ogni nostra perplessità e incertezza. Contro ogni speranza - come dice uno un po' più sapiente di Buzz. Ed io oggi sono qui ad affidarteli tutti e quattro. Perché possano incontrare Cristo, come l'hai incontrato tu. Che possano avere la certezza, come l'hai avuta tu, che si può essere profondamente felici, anche nei tempi bui e sofferti della nostra vita. E che forse alcune volte è proprio lì che lo incontreranno. Dove meno se lo aspettano. Com'è successo a te, in quella notte di prigionia, a cuore a cuore con Dio. Certo che fosse l'ultima. E, invece, l'uomo che ti avrebbe potuto uccidere, ti ha lasciato scappare. Abbracciali uno ad uno. E permetti che il tuo sorriso diventi il loro. Perché possano avere il tuo stesso amore per la vita, per gli altri. E la tua stessa certezza nella vita eterna. Non sono mai andata alle giornate mondiali della gioventù a cuor leggero. Anzi spesso non ne avevo proprio voglia. E il motivo lo posso capire bene solo ora, guardando indietro, con occhi più adulti: inconsapevolmente sapevo che lì c'era tanta roba, roba seria, roba che non si può glissare o evitare così facilmente.
Quei dieci giorni erano un tempo in cui potevo decidere liberamente, di tornare a casa come ero partita. Ma c'era da fare una gran fatica per raggiungere l'obiettivo. Dovevo proprio impuntarmi: io non ti voglio ascoltare (e, a volte, mi è capitato). Solitamente, invece, partivo lasciando una piccola fessura nel cuore (quella di cui si parla nel cantico dei cantici...amo quei versetti), aperta pochi millimetri, ridicola, ma quanto basta perché la Parola, le catechesi, la gioia, i canti si potessero infilare dentro, come l'impeto della corrente tra le crepe di una diga. E tutto crolla. E quanti pianti liberatori. Quante strade chiuse e poi altre aperte. Quante scelte radicali. Quanti pezzi di vita finalmente compresi e accettati, che manco uno psicologo di fama mondiale avrebbe potuto fare meglio. E poi guardarmi dentro, come mai si fa. Perché di solito si tira dritto come il criceto sulla sua ruota, arraffando tutto ciò che riempie sul momento, ma mai guardandosi dentro per capire: chi sono oggi? Chi voglio essere domani? Che ci sto a fare io qui? E quante risposte sono arrivate...non tutte, grazie a Dio. E quasi sempre si rientra con un cuore gonfio di gratitudine; le idee più chiare e pronti per la battaglia. Perché dopo aver toccato il Cielo con un dito, di tornare sulla ruota del criceto non se ne ha proprio più voglia. E tutto quello che oggi è la mia vita è conseguenza di quei tempi, è conseguenza dalle scelte fatte durante quei pellegrinaggi. Quasi tutto. In ascolto ad una parola, ad un consiglio, ad un sussurro. Ad un amore donato così, gratuitamente, dai catechisti, dai fratelli, dai sacerdoti...quante notti in bianco a parlare con loro...e tra una birra, un pianto, una risata, un abbraccio, un'assoluzione, si diventava un po' più noi stessi. "Noi", il progetto stupendo di Dio. Santa invidia per chi oggi avrà questa opportunità. Non ve la fate scappare. Che la vita è roba seria ed è meravigliosamente bella, troppo per perderla ad arraffare qui e là un po' di felicità. Acchiappatevela tutta!! "L’amato mio ha introdotto la mano nella fessura e le mie viscere fremettero per lui. Mi sono alzata per aprire al mio amato e le mie mani stillavano mirra; fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello. Ho aperto allora all’amato mio, ma l’amato mio se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa; l’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città; mi hanno percossa, mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate l’amato mio che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amor!" dal Cantico dei Cantici E di nuovo per la serata del mio compleanno (non mi chiedete perché solo alle serate del 'mio' compleanno) è scattato il giochino "un pregio e un difetto".
Daiii che fico!! L'ultima volta sono stata descritta dai figli come: simpatica, scocciosa, rompi balle, divertente, paziente e, dulcis in fundo, urlatrice. Il tempo passa, io sono invecchiata e i figli cresciuti, ma la loro schiettezza è sempre la stessa (una volta uno di loro, mentre giocavamo a tombola, tiró fuori il numero 88 e urlò "le gambe di mammaaaa!!" Battendo le mani e ridendo - pensava di essere stato simpatico). E così l'altra sera, mutatis mutandis, da simpatica sono diventata empatica. Da scocciosa e rompi balle, ho vinto la medaglia d'oro di rompica**o dell'anno. Da paziente mi sono tramutata in disponibile. Poi c'è stato un sussurro: "e ti si può parlare. ORA", dove quell' "ora" pareva sottolineato 25 volte con l'evidenziatore giallo pulcino. "Divertente e urlatrice" invece si sono persi per strada, negli anni. Ma ho guadagnato un "ti fai influenzare troppo da papà" (perché dici sempre "chiedete a papà") e (non proprio con le stesse parole) "non tieni testa a tuo marito". Allora, diciamolo, poteva andare molto peggio. Quattro figli adolescenti avrebbero potuto stendermi ko con una parola sola, se avessero voluto. Possiamo dire che ne sono uscita abbastanza pulita, che ne dite? Soprattutto per me, che penso (e ora passo alla parte seria del post) di essere un macello come mamma. Pensate, uno dei figli che sa come guardo me stessa, la prima cosa che mi ha voluto dire è stata: "sei una brava mamma". È da piangere e commuoversi lo so, infatti ieri, a letto, l'ho fatto. Mi sono commossa. Perché ho capito che noi mamme siamo un casino (beata chi si sente brava), ma i figli lo sentono che ci arrampichiamo sugli specchi, lo sanno che facciamo una marea di cazzate, e sanno anche che li facciamo, a volte, pure soffrire. Ma sanno che li amiamo, sì goffamente, ma anche immensamente. Sanno che daremo la vita per loro. Lo sanno benissimo. Ed è per questo che alla fine, poi, perdonano. Tutto. E che alla fine ci sono cose che neanche si ricordano (cose che magari noi avevamo già catalogato da chiamata al telefono azzurro). Ecco. Che meraviglia. E poi quel "difetto" di non saper tirare fuori le unghie col marito, di non far valere le mie ragioni (che poi non è sempre vero), ve lo dico, figli miei amati, è quello che tiene su tutto l'ambaradan; è il segreto del nostro matrimonio. Perché, come dice papà, "vince chi perde, e non chi ha ragione". "Eppure sai, non ho paura, paura mai di guardarmi dentro, quando è buio fuori, quando tutto è spento, ma troverò i colori e se avrò paura io so che è normale questa vita passa, ma non scompare, ma, amico, non scompare”. Ci ho messo tanto per capirlo, perché il dolore da piccoli non si sviscera, si scavalca. Come quando c'è un calzino sul pavimento e fai un passo lungo per evitarlo. E sembra tutto risolto, ma il calzino resta lì per terra a pochi centimetri da te. E così quella ferita. E' dietro l'angolo, ti aspetta e poi "bu!" tu salti per aria. Ed è la paura di non saperla affrontare. Ed è la paura di quel buio che sta fuori, ma anche dentro. È la paura che non sarai mai più felice o, peggio, è la paura di non meritarla più quella felicità. E tutto è spento. Perché quella paura da piccoli si sotterra. Come polvere sotto il tappeto. E la vita si spegne. E il buio ti avvolge. Ma i colori ci sono, a due passi da te. E voi, ditemi, chi avete incontrato? Chi vi ha preso per mano e vi ha detto: "guardati dentro, non avere paura, perché il dolore esiste per tutti, ma la vita non scompare"? Che la vita passa, ma non scompare. E chi vi ha abbracciato tenendovi stretti? Chi vi ha sussurrato all'orecchio: "le ferite sono le maniglie delle porte della nostra esistenza. Sono le indicazioni per la strada, i pioli delle nostre scale verso il cielo". Chi vi ha fatto capire che la vita è dolore e...colori? Ed è l'uno ed è l'altra. E chi vi ha fatto credere che la vita non scompare? Chi vi ha, finalmente, convinto che la vita davvero non scompare? Che noi, tutti, siamo eterni. Che quella ferita, quel dolore, quella paura è vita, fa parte di essa. Che è vita che passa, ma che non scompare. A voi, ditemi, chi vi ha tolto la paura di "guardarvi dentro, quando è buio fuori e quando tutto è spento" ? Questo è stato un tempo di necessario silenzio. Un pressante bisogno di staccare, di chiudere le orecchie. E gli occhi. E la bocca.
Perché la morte è una roba seria e non da chiacchiere e rotocalchi. Una roba seria nel senso che se ci lascia così come ci ha trovati (o peggio con qualche bestemmia di più nel cuore) ce l'ha fatta, ha ucciso pure noi e distrutto tutto ciò che c'è intorno. Terra bruciata dall'odio. Perché la morte stravolge e lo può fare seminando rancore, rabbia, desiderio di vendetta, oppure seminando vita, fino infondo a quel dolore che solo una madre che ha perso un figlio può capire (io invece, in punta di piedi, posso solo tendere l'orecchio e ascoltare, e imparare, e accogliere). Perché la morte arriva, e andando via adocchia sempre un colpevole a cui addossare tutta la sofferenza che si porta dietro. E incolpa Dio. Altre volte incolpa l'uomo. E ad entrambi li schiaccia contro il muro. Senza respiro. Senza processo. Ma, a volte, la morte andando via può lasciarsi dietro miracoli. A volte accade. E in un cuore devastato può seminare la pace. E in un cuore straziato, germoglia l'amore. A volte accade. È raro. Ma sulla morte, a volte, vince la vita. Stamattina alle 4:30 ci ha svegliato un gorgoglìo che proveniva dai gabinetti. Fuori pioveva a secchiate, e il livello dell'acqua saliva a vista d'occhio. Acqua sporca, putrida di fogna.
In un primo istante, io e mio marito, abbiamo pensato di cavarcela da soli: io riempivo i secchi, cercando di svuotare quello che saliva dai wc, e lui correva su e giù per le scale. Io pregavo e svuotavo, lui pregava e correva. Ma come in ogni famiglia dove ce la si fa solo gli uni stretti agli altri, sono arrivati loro, i ragazzi, che nella vita quotidiana li appiccicheresti al muro (quasi tutti), perché per alzare un dito gli ci vuole una raccomandata con ricevuta di ritorno. E invece, in una catena perfettamente ed equamente distribuita, ognuno, in silenzio, ha iniziato a fare la sua parte, senza bisogno di chiedere chi dovesse fare cosa. Si è messa in moto una macchina inarrestabile, che per un'ora e mezza ha tenuto botta senza fiatare. E mentre toglievo, più velocemente che potevo, acqua e m***a dal gabinetto, e pregavo che smettesse di piovere, sono arrivati gli aiuti dei vicini, santi vicini. Santa provvidenza. E all'improvviso, dal nulla, mi sono venute in mente le immagini dell'alluvione, del fango, delle case distrutte, di tutto ciò che è stato perduto. Delle città sommerse. E poi i video dei romagnoli, distrutti dalla tragedia, che spalavano fango dalle strade, insieme, cantando. Distrutti ma non annientati. E ho iniziato a pregare per loro. Perché il demonio ha carta bianca quando siamo arrabbiati, poco o sul serio, non gli importa. È un attimo, e per una cavolata (anche solo per le mani giunte che puzzano di cacca) la gratitudine sparisce e il cuore si riempie d'ira e senso di ingiustizia. E c'è solo un antidoto: non farsi fregare. Ma non è che esiste una ricetta buona per tutte le volte. Oggi per me è stata quel pensiero volato a loro. Agli alluvionati. E una preghiera: Signore concedi loro la forza di ricominciare, e il potere di mandare a quel paese il cornuto ogni volta che verrà a bussare alla loro porta. E fa' che possano tornare presto alle loro case. 15 Maggio 2002
Ci sono sorrisi e sorrisi. Io ti auguro quelli veri. Quelli che ti partono dalla pancia o dal cuore e ti esplodono in faccia. Quelli che ti accendono gli occhi perché ami, ami davvero, con tutta te stessa. Quelli che non si risparmiano; che non si nascondono dietro un dolore, ma che lo vivono e lo affrontano. E lo accolgono. Quelli contagiosi. Quelli che sanno di perdono, di pazienza, di tenerezza. Quelli che hanno un profumo speciale, unico. Il profumo della vita. Della vita che si dona. Ti auguro, per sempre, un sorriso cosí, amore mio. Ho pianto e riso, il doppio dell'ultima volta che l'ho visto. Forse perché ero già preparata. Ma ho riso tanto e pianto ancora di più. Quando si dice che l'arte arricchisce l'anima è proprio vero; soprattutto quando l'artista fa dell'arte uno strumento per diffondere il bene, il bello, il vero, il profondo, la ciccia, la roba forte di cui nessuno parla più. Perché oggi invece fa più cool scrollare i video, lamentarsi della politica e guardare cazzate in tv, ma della roba seria della vita, quella che dice: "vuoi essere felice? c'è una strada se vuoi", nessuno ne parla più. Ieri sera sono uscita da quel teatro diversa da come ci sono entrata. Mi porto nel cuore tutto, ma un paio di passaggi in particolare, e non credo di spoilerare niente se vi faccio questa confidenza. Perché l'arte è un po' come la parola di Dio (se ho detto un'eresia, perdonatemi) arriva dritta al cuore, ogni volta in modo diverso e ad ogni persona in modo diverso. Oggi può dirmi una cosa, ma domani, che non sono la stessa di oggi, un'altra. L'arte è così. Guardare un quadro, ascoltare una sinfonia o assistere ad un'opera teatrale può portare in sé qualcosa che ci cambia, può essere qualcosa che fa vibrare le corde della nostra anima. Se noi lo vogliamo. E questo è quello che mi porto nel cuore (parafrasato): E se niente fosse vero? E se Dio non esistesse e se fosse tutto una grande balla? Avrebbero vinto gli altri, è vero. Ma tu hai fatto, comunque, ciò che ti ha reso felice. Dio lo segui perché ti rende felice, non perché qualcuno ti ha obbligato a seguirlo. e anche: Cos'è fare l'amore? Cos'è l'amore? È una cosa tipo quella vecchissima lampadina di Chaillet accesa da più di 100 anni. Che non si spegne perché ce ne prendiamo cura, perché la trattiamo con dolcezza, con rispetto, come un dono prezioso da non sciupare. E perché nei momenti duri, quando sembrava dare poca luce, non ci siamo stancati di lei, non l'abbiamo cambiata con una nuova, buttandola nell'immondizia. E l'abbiamo portata a letto e portata a letto e portata a letto per anni, anche quando non parlava più, anche quando già non camminava più e aveva la bocca aperta, e non emetteva un suono. E l'abbiamo presa in braccio e portata a letto e portata a letto...fino all'ultimo dei nostri giorni. Perché questo è fare l'amore: guardare negli occhi la persona amata anche quando quegli occhi non guardano più, e trovarci sempre lei, la persona che abbiamo scelto di sposare, per sempre. In eterno. Grazie Giovanni Scifoni - Santo piacere, Dio è contento quando godo |