Francesca Centofanti
È tutto il giorno che penso a Maria di Magdala. Penso a quando quella notte si è diretta verso il sepolcro "quando era ancora buio". Ma perché così presto? Ho letto un sacerdote che ha scritto:"forse perché in vita non ha mai avuto il coraggio di dire a Cristo quanto lo amasse e ora corre per dirglielo, subito"....
E poi quel sasso grande rotolato via... Chissà se nel buio da principio avrà capito. Forse solo avvicinandosi avrà avuto la conferma che davvero quella pietra enorme era stata tolta!! Il cuore gli sarà arrivato in gola...cosa avrà pensato? Tutto, niente. Le saranno tornate in mente le parole del Cristo? O era troppo agitata per mettere in fila anche solo due semplici pensieri? I teli gettati in terra, il sudario piegato. Ci avrà fatto caso a questo particolare? Per Giovanni è talmente importante che dedica un intero versetto di venti parole per descriverlo. Stamattina me lo chiedevo anch'io. E assistendo alla seconda messa di Pasqua per accompagnare un figlio lavoratore, è arrivata proprio la risposta alla mia domanda. Ma perché sto sudario era piegato? «Per poter comprendere il significato del sudario piegato bisogna conoscere un po’ la tradizione ebraica dei tempi di Gesù. Il sudario piegato ha a che vedere con una dinamica quotidiana tra padrone e servo: una volta preparata la tavola, il servo rimaneva ad aspettare fuori, fino a che questi non aveva terminato di mangiare. Il tovagliolo lasciato sul tavolo appallottolato era il segno, per il servo, che il suo padrone aveva finito di mangiare e che poteva sparecchiare. Nel caso invece il padrone si fosse alzato, lascando il tovagliolo piegato al lato del piatto, il messaggio per il servo sarebbe stato diverso: non poteva sparecchiare, poiché il suo padrone sarebbe tornato!» Ora non so se questa sia una spiegazione teologicamente corretta, ma sicuramente è una dolce consolazione. Cristo non è solo risorto. È tornato.
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Sono loro quelli che ci apriranno le porte del paradiso.
Quelli che attraverso noi, sono arrivati a Lui. Quelli che hanno rovistato nella nostra vita e, nonostante la nostra incapacità ad amare, ci hanno trovato l'amore. Nonostante le nostre ferite, hanno trovato guarigione. Nonostante il nostro egoismo, hanno trovato accoglienza. Nonostante le nostre fragilità, hanno trovato braccia a cui aggrapparsi. Nonostante il nostro pessimo carattere, hanno trovato una spalla su cui piangere, una mano che li ha consolati, una casa che li ha accolti. E diremo loro "ma quando vi abbiamo fatto tutte queste cose?" Perché chi fa il bene vero, non se ne accorge. Chi ama donando la vita, non cerca un ritorno. Chi aiuta, lo fa nel nascondimento anche del proprio cuore. E allora saremo benedetti dal Padre nostro perché "è grazie a te, se credo in Dio". (Foto da: Via Crucis Colosseo - 29 Marzo 2024) I bimbi a scuola, ogni Febbraio circa, hanno un tracollo comportamentale. Dico "tracollo" perché ti arriva proprio tra capo e collo, dopo che per mesi ti sei affaccendata per insegnargli quelle quattro semplici regole della scuola dei piccoli. E per ovviare a questa criticità, qualche maestra prova a cercare su tik tok, gente che ne possa dare spiegazione o interpretare le cause.
Ma diciamoci la verità, alla fine dei conti, davanti ad una classe imbufalita di 20 nanetti che non ti ascoltano più, di quei paroloni cosa ci fai? Poco e niente. E poi più si va avanti con l'età più il rumore di quelle, che in gioventù chiamavi dolci vocine, si trasforma in disturbo della quiete pubblica, la tua. Però, però c'è sempre un però. Perché quando fare la maestra ti piace da morire, ti si avviano in testa tutorial immaginari tipo: "strategie di sopravvivenza per maestre"; "loro urlano, tu che fai? Soluzione in 4 step"; "kit per arrivare viva alle 16 e zero zero".... Perché ho sempre odiato urlare (pur non ritenendomi esente) ed è per questo che, tra i vari tutorial che mi frullavano nel cervello, una soluzione alla fine l'ho trovata: la campanella. Ogni anno la presento ai bambini, e spiego loro: "le maestre non sono supereroi, sbagliamo proprio come voi e ogni tanto ci arrabbiamo anche quando voi magari non c'entrate niente o per motivi che potrebbero sembrarvi un po' stupidi. E quando ci arrabbiamo, a volte, gridiamo perché vi vorremmo sempre obbedienti o sempre fermi e seduti composti, o che non fate confusione (ma ve lo dico in confidenza, se foste così non sareste bambini, ma alieni). Allora in quei momenti abbiamo bisogno di un aiuto: e la campanella è il mio. Volete una maestra che urla?" "Noooo!!!" "Allora quando sentite questo suono dlin dlin, sappiate che la vostra maestra ha qualcosa di importante da dirvi, ok?" "Siiii" E davvero...sono bravissimi. Poi però capita. Qualche urlo scappa anche a me, e allora chiedo scusa. Perché non è mai bello sentire un adulto che ti dovrebbe volere bene qualsiasi cosa tu faccia, urlarti. Allora dico "mi dispiace, non volevo". Quanto è importante saper chiedere scusa, anche a dei nanetti...soprattutto a loro. E oltre la campanella, viene in aiuto la gratificazione. Quanti frutti raccogli quando i bimbi si sentono gratificati. Quando punti sulle cose belle invece che su quelle storte. "Brava Giulia che stai mettendo a posto anche se non hai giocato" oppure "bravo Matteo che hai chiesto il permesso per uscire" e come per magia tutti i bimbi imiteranno Giulia e Matteo. "Bravissimi!! Tutti. Veramente bravi. Vi meritate un dolcetto". E infondo, pensateci bene, cosa cerchiamo anche noi adulti se non questo: essere amati anche quando non siamo stati così bravi, anche quando non siamo per niente perfetti. Qualcuno che ci lavi e ci baci i piedi, nonostante siano sporchi e puzzolenti. Buon triduo pasquale. Ma chi li capisce sti ragazzi che arrivano a scuola con acronimi incomprensibili, di cui molti docenti non conoscono neanche a fondo il significato. Ad essere onesta, io stessa ho dovuto studiare, approfondire, capire, ascoltare testimonianze di altri ragazzi per comprendere meglio uno dei miei figli. Del perché procrastinasse ogni cosa, perché avesse l'umore ballerino. Perché bastava che gli dicessi una frase leggermente polemica perché la sua rabbia esplodesse? Perché non gestisce le emozioni, parla sempre, non sta mai fermo, risponde, e perché poi all'improvviso tace? Sta ore in camera, non esce, sdraiato sul letto a non fare apparentemente nulla. Chi te lo spiega perché? Chi ti spiega che devi fare? Come si gestisce un ragazzo così, chi te lo dice? Cari professori, non posso che dire che vi capisco in pieno se non riuscite. Se la situazione vi sovrasta, soprattutto all'interno di classi dove non c'è solo un alunno che andrebbe seguito, ma 10, 15. Stiamo sulla stessa barca. A volte davvero non si sa dove mettere le mani, da dove iniziare. Come proseguire. Qual è il bene del ragazzo quando le strategie non funzionano? Mettere note, dare sospensioni? Non lo so, davvero. Solo una risposta mi rimbomba nel cervello: noi adulti, nel mondo di questi ragazzi, ci dobbiamo entrare con tutte le scarpe. Dobbiamo provare a sentirci come si sentono loro. Capire cosa gli succede dentro quando vorrebbero stare zitti, invece la loro bocca si apre; quando vorrebbero stare fermi, ma il formicolio alle gambe non glielo permette. Quando vorrebbero restare calmi, ma la rabbia esplode senza che loro possano farci assolutamente nulla. Quando vorrebbero mettersi sui libri a studiare, ma allontanano quel momento minuto dopo minuto...ora dopo ora, giorno dopo giorno. E la frustrazione aumenta, e la stima cala, e la tristezza si affaccia. Ed è un cane che si morde la coda. "Stai buono, non fare casino, stai fermo, devi studiare, non ti scordare il quaderno..." È come se qualcuno ci chiedesse di fare i funamboli su un filo, tra due grattacieli. Come se qualcuno pretendesse da noi qualcosa che non possiamo fare, e non perché non ci va, ma perché proprio non ce la facciamo. È necessario, troppo necessario, scoprire il mondo di questi adolescenti. Entrarci dentro con tutte le scarpe, e non per giustificarli, ma per camminare insieme, mano nella mano, partendo da ciò che sono. Ché è vero, è un mondo complesso il loro, faticoso, a volte devastante, ma è anche stupendamente meraviglioso. E quando qualcuno lo fa, e ci si infila dentro con tutte le scarpe, accade l'insospettabile: e quel prof ti viene vicino e ti abbraccia stretto, anche dopo che hai combinato un disastro totale e l'altro ti messaggia, sapendoti a casa a rimuginare sulle tue inconsapevoli follie, per dirti che ti vuole bene, e che ti sta vicino «..e non preoccuparti che insieme, ce la faremo». C'era una cosa di mio padre che mi rassicurava più di tutte le altre. Più del fatto di immaginarlo forte e coraggioso; più del fatto di saperlo sicuro di sé; più del fatto che avesse sempre una risposta alle mie mille domande e che lui per me ci fosse sempre quando ne avevo bisogno. Anche più del fatto che mi amasse profondamente e che amasse la famiglia più della sua stessa vita.
Più di ogni altra cosa, quello che mi rassicurava era il fatto che per lui fosse chiaro cos'era il "bene" e che riuscisse sempre a scovare tra gli interstizi della vita, ciò che invece non lo era. A volte lo sapeva così sfacciatamente da darmi fastidio. Perché mi sarebbe piaciuto molto di più fare le cazzate che ho fatto, senza sapere che mi avrebbero fatto del male. Invece davanti alla mia libertà, io sceglievo nella consapevolezza della mia scelta. Col tempo ho capito che questo dono si chiama "discernimento" ed ho scoperto solo in seguito che è un dono gratuito, per coloro che camminano a braccetto con Dio (non cade dal cielo per magia, lo devi proprio volere, e chiedere e poi avere il desiderio e la costanza di tenertelo stretto). È un dono per chi, umilmente, si pone a confronto con una Parola che ti scava dentro e che a volte fa male, molto, ma che ti da occhi da profeta (che non è quello che prevede il futuro eh, ma quello che sa la verità sulla vita, sulla tua vita e la dice così senza troppi panegirici, e va dritto al dunque, e se ne frega se non ti piace, e se ne frega anche quasi se lo ascolti, o se gli obbedisci. Perché il suo obiettivo non è avere un figlio che non sbaglia, ma un figlio che conosca la verità e che sappia qual è la strada da percorrere. E se lo guardi negli occhi sembra non essere affar suo neanche quando e se il figlio deciderà di percorrerla quella strada, ché "se l'educazione diventa un problema, è un problema" - cit. Franco Nembrini). Buona festa del papá a tutti i papá, che possiate desiderare questo discernimento. È risaputo che non amo particolarmente la festa delle donne, ma stamattina entra in classe uno gnappetto di 100 cm con un ramo enorme di mimosa in mano, più grosso di lui che quasi non gli vedevo la faccia.
Entra, arriva alla cattedra, si ferma, mi guarda con gli occhi a cuore, spezza un rametto, me lo porge e mi dice "tanti auguri maestra". E così fa' con tutte le compagnette. Gira per la classe banco dopo banco, senza curarsi di interromperle affaccendate com'erano nei loro giochi mattutini; una pacchetta sulle spalle ad una: "tanti auguri" poi a un'altra: "tanti auguri" e "tanti auguri..." Impossibile non intenerirsi. Finito il suo giro, si ritira insieme ai suoi amichetti, tutti rigorosamente maschi (ché a questa età è quasi la norma la divisione netta tra femmine e maschi). Lo guardano, e con un certo senso di invidia compiacente, gli sorridono. Lui felice e orgoglioso, gioca, incosciente di ciò che sta per accadere... I piccoli rami di mimosa in effetti non erano tutti uguali. Uno era più piccolo, l'altro più spelacchiato, uno aveva i chicchi vigorosamente gialli, un altro rinsecchiti. E alle femmine della classe il fatto ovviamente non è passato inosservato. "Maestra lei ha rubato la MIA mimosaaaa!!" "Non è vero quella è la MIA" "Maestra io me la vado a mettere nello zaino" "Me l'hai rubata, l'ho appoggiata un attimo sul banco e non c'è più!!" Vabbè, routine quotidiane si sa... Però sta roba mi ha fatto riflettere, oltre a farmi fare due risate e provare tenerezza. Ma davvero abbiamo bisogno di una festa tutta nostra perché le cose che accadono ogni giorno non accadano più? O è il cuore dell'umanità che ha bisogno semplicemente di essere curato? (ovviamente per essere curati è necessario capire che abbiamo bisogno di qualcosa) Quando sei maestra ci sono due fatti dai quali non puoi prescindere - per lo meno se quando diciamo "maestra" intendiamo la stessa cosa, cioè quel lavoro meraviglioso che implica il donarsi senza sosta, da quando varchi la porta della tua classe fino a quando ne esci, ed anche oltre; e il farsi strumento per i tuoi bimbi, affinché imparino ad amare loro stessi, gli adulti e i compagni con cui spartiscono una grossa fetta della loro vita - ché non c'è obiettivo più importante nella scuola dell'infanzia (checché ne dicano tutti quelli che cercano spasmodicamente la scuola in, dove i figli potranno imparare inglese, cinese, cirillico, arte, musica, scrittura e lettura, coding e codini, e tric e trac...).
Quindi le due questioni dalle quali, secondo me, non si può prescindere sono: un amore incondizionato per questo mestiere (e la prova del nove è semplicissima da ottenere: la mattina, appena apri gli occhi: ti prende una sincope? o sei magicamente serena pur sapendo che dovrai affrontare 20 belvette che ti succhieranno l'anima?). La seconda questione imprescindibile è l'affiatamento con le tue colleghe. Sei cosciente che se parli male di una di loro in sua assenza, se fai la spia per metterne un'altra in cattiva luce, se ti impunti a forza per avere ragione, se non sai fare un passo indietro quando serve, se non sei pronta a tendere la mano se qualcuna di loro ha bisogno, se non sai supportare e anche sopportare, non è solo il rapporto con una collega che si distrugge, ma che stai distruggendo anche l'anima dei tuoi alunni? Perché loro ci guardano, ci osservano, imparano per osmosi. E se noi siamo serene, così saranno anche loro. Se noi amiamo, loro impareranno a fare altrettanto. Se noi rispettiamo, abbiamo pazienza, ci vogliamo bene, loro faranno la stessa cosa. Io posso dire che per grazia, solo per grazia, le ho tutt'e due. Un amore incondizionato per il mio lavoro e colleghe che mi lasciano messaggi d'amore alla lavagna prima di andare via. Provateci anche voi, per credere. Proiettato solo in tre sale di Roma - in una l'hanno venduto tra i saldi di gennaio. Beh, ci sta, è periodo. Se vi dice bene, forse lo trovate in qualche cinema parrocchiale. Perché è così, anche attrici come le interpreti di The miracle club - che tra qualche anno ci sogneremo - in Italia pagano dazio per un film del genere. Ma chi si sorprende più...la fede ormai dicono che è un fatto privato. Prima era l'identità di un paese, oggi puoi essere un cristiano nelle quattro mura di casa tua o in Chiesa. Fuori, se malauguratamente ti beccano, ti bullizzano o come minimo ti catalogano nell'elenco degli scemi del villaggio. Già. È così. Soprattutto in Italia, perché Thaddeus O'Sullivan, invece, irlandese di nascita, non si è posto proprio il problema e un film così, l'ha fatto. E l'ha fatto proprio bello. Tra i critici che non l'hanno cestinato, qualcuno lo racconta come un film leggero, a tratti zuccheroso. Niente di più lontano. Chi ne descrive così i suoi 91 minuti di pellicola non ha mai provato l'angoscia di essere stato ferito a morte ed aver trovato la forza, e provato la gioia di una vera e profonda riconciliazione con il proprio carnefice (roba che di zuccheroso non mi sembra avere neanche il profumo). Delicato e verace. Tratta di una religiosità, forse a sprazzi, semplicemente naturale, ma anche tanto vicina, perché chi di noi, almeno una volta, non è andato alla ricerca di un miracolo per la propria vita (o per quella di qualcuno a noi caro)? E tratta di ferite brutali che sanano. Di fatti di morte che riuniscono. Di silenzi che parlano. Dell'odio che non vince. E di miracoli, che accadono. Ah...e poi si piange. “Non si viene a Lourdes per i miracoli, Eileen, ma per avere forza quando non c’è nessun miracolo“. «Dio fa' cose» dice in una delle sue meravigliose testimonianze, Alessandra Pauluzzi. Quanto ha ragione. Dio fa' cose. E le fa al posto nostro, ché altrimenti noi non ne saremo proprio capaci.
E ne fa di miracolose, quelle che non puoi avere dubbi e nemmeno, nella foga, intestarle alla tua abilità di districarti tra i casini della vita - qualità che poi a me manca completamente. Quindi no, è fuori discussione. Impossibile confondersi. Perché fa' cose come ridarti la gioia di vivere, senza alcun preavviso, né pretesto alcuno. Due minuti prima stai lì annaspando tra il sangue delle tue ferite e due minuti dopo così, d'emblée, senza che tu abbia alzato un dito, ascolti due frasi del tipo: "Dio ti ama così come sei, con la storia che hai" e il tuo cuore non sta più nella cassa toracica. Si espande e si allarga, tanto che hai paura ti venga un'infarto. E non è l'esplosione in sé a darti la certezza che c'è Lui dietro a tutta sta roba - perché di emozioni estreme è pieno il mondo. No, il fatto è chiaro: perché è roba che resta. Perché 'sto cuore gonfio non si sgonfia. Perché la tua vita cambia. Perché non vuoi più morire. Perché quell'uomo che da adolescente odiavi per averti distrutto la vita (forse senza manco saperlo), non solo puoi smettere di maledirlo, ma hai visto lontano all'orizzonte la possibilità di perdonarlo. E puoi vedere che, forse, al posto suo avresti potuto fare guai più grossi e infliggere ferite più profonde di quante ne abbia inferte lui. Dio fa' cose, tipo queste. Che io mai avrei potuto fare da sola. Anzi cose che io non avrei volute proprio fare; perché, a volte noi a quei dolori ci aggrappiamo con le unghie e con i denti; perché fanno male, sì, ma ci sono anche tanto familiari ed è lì dentro che ci sentiamo sicuri. E poi arriva Dio e fa' cose. E ci libera. E poi butta giù i muri, quelli costruiti con chi non parlavi da giorni o da mesi o da anni. E ti cambia lo sguardo con cui guardi alcune persone. Ed è lampante come il sole di ferragosto che non è farina del tuo sacco, perché tuo marito di quelle cose te ne ha fatte troppe e umanamente lo guardi e lo vedi ed ora è brutto, forse solo per un attimo, ma senti che potrebbe essere molto più lungo quell'attimo. E ancora arriva quella cosa che solo Dio fa': una parola. Che ti trapassa l'anima e di nuovo il cuore si gonfia per quell'uomo che fino a tre minuti prima vedevi brutto, antipatico. Ed ora, senza motivo, è più bello che mai e lo ami ancora, di nuovo e forse di più. E non sei tu che sei stata brava. Perché lo sai che a te sarebbe piaciuto invece tenergli il muso, e averla vinta, e fargliela pagare, e fargli capire che è lui che deve cambiare. Non certo tu. Ma una parola ti ha attraversato l'anima, una sola frase, che ha fatto una differenza umanamente incomprensibile, che non ti ha lasciato uguale a prima. E ti ha cambiato il cuore, e lo sguardo. Tutto. Perché Dio fa' cose, e ne fa tante. Ogni giorno. E non si stanca mai di farne. E mai si stancherà. Il 17 Dicembre ero per strada con mio marito tornando dal Gemelli e ho fatto una riflessione abbastanza assurda. Anzi più che assurda, spudorata (ringrazio chi riesce a capirmi più di quanto faccia io stessa, perché c'è un'inquietante dicotomia tra la me che se deve fare, ad esempio, una catechesi glie prende l'attacco de panico e ritorna correndo seduta alla sua sedia dopo 5 minuti e quattro frasi messe in croce, e la me che se deve dire o chiedere qualcosa a qualcuno, se ne frega e chiede, al massimo diranno di no...).
Insomma il 17 dicembre alle tre e mezza di un pomeriggio domenicale, mando un messaggio ad una persona - diciamo - che orbita intorno a questo spettacolo, e le scrivo che avrei tanto voluto andare a vederlo, ma i biglietti erano finiti tutti in un nano secondo. Ho scritto senza pensarci su e mi sono detta o la va o la spacca; o mi dice di sì o mi dice no pensando magari: ma guarda sta matta. Dopo 22 minuti arriva la risposta: "vuoi venire alle 17?" Erano le tre e mezza, stavo dall'altra parte di Roma e mio marito era già pronto per guardare la partita delle 18, svaccato sul divano. Mi guarda. Sta zitto tre secondi. Credo di avergli fatto un senso di tenerezza o pena perché zompavo su e giù sopra il sedile dell'auto. E credo che abbia capito subito di non avere troppa scelta. Appena intercettato il suono della prima consonante che stava per pronunciare, scrivo in risposta al messaggio: "SSSiiiiiiii!" E mentre lui bofonchiava a bassa voce - forse ancora non propriamente convinto della scelta presa - "al massimo me la vedo sul cellulare con le cuffie.." io pensavo: che sant'uomo! Alla fine il marito non solo ha rinunciato alla partita, ma si è visto tutto lo spettacolo senza sbirciare mezzo secondo il cellulare. Perché Giovanni Scifoni è riuscito a tirare fuori dalla vita di san Francesco cose che nessuno ha mai detto, fatti sui quali nessuno si è mai soffermato. Perché tutti sanno che è il santo dei santi, ma chi conosce l'uomo che è stato, con le sue umane fragilità? Ecco, in Fra' si parla anche di questo. Giovanni ha capito che gli uomini hanno bisogno di guardare persone eccezionali come San Francesco, non come persone irraggiungibili. Santi sì, ma santi l'hanno fatti dopo che so' morti. Prima hanno peccato, hanno rinnegato, hanno avuto dubbi. Hanno combattuto fino all'ultimo respiro contro loro stessi. Ché siamo noi l'ostacolo più grande per la nostra conversione, mica gli altri o gli eventi che ci accadono. Insomma, bellissimo. Giovanni hai fatto centro, ancora una volta. In un modo del tutto diverso da Santo piacere, ma hai fatto di nuovo un meraviglioso incredibile centro. Grazie di cuore. |