Francesca Centofanti
Sono maestra dal 1989, avevo 19 anni (la "vocazione" da quando ne avevo 6). Ho ancora in mente molti dei visi dei miei bimbi. Alcuni oggi li incontro per strada trentenni. Ancora ricordo qualche nome anche di quelli più vecchi, che peró il tempo cerca di strapparmi via.
Quanti bambini. Ognuno con la sua valigetta, con la sua esperienza, con la sua vita. Con le sue fragilità e la sua diversità. Con le sue gioie e le sue sofferenze. E ognuno di loro, ognuno, con la sua famiglia, salda, sgangherata, a pezzi o modello perfetto di unità. Figli dell'alta borghesia, figli di carcerati, di contadini e di impresari. Figli di mafiosi e figli di onesti lavoratori. Quanti volti, quante vite. Figli unici, figli adottati, figli di famiglie numerose. Figli orfani e figli di separati; figli di un papà, ma conviventi con altri tre dei suoi figli di precedenti matrimoni. E fratelli e fratellastri. Soli con la mamma. Soli con i nonni o con gli zii. Quanti volti di storie diverse. Ognuna irripetibile. Unica. Da che insegno e anche da tanto tempo prima, quando ero io tra i banchi, sono sempre esistite famiglie diverse. E ancora prima del mio tempo, la guerra e la fame hanno portato tanti orfani e il '68 tanti divorzi. E' sempre esistito il dilemma per noi insegnanti: "come sfiorare queste vite". Condivido con piacere l'articolo di oggi di Massimo Gramellini e qui ne riporto uno stralcio: "Quando persi mia madre, la maestra strappò da tutti i sussidiari la pagina che parlava di mamme. Aveva agito per proteggermi, e ancora adesso la purezza delle sue intenzioni mi commuove, però la sofferenza mi aspettava comunque all’uscita da scuola, quando mi ritrovavo a essere l’unico senza una madre ad attenderlo. Un bimbo può partecipare alla Festa del Papà anche se non ha un papà: magari in compagnia di un altro adulto a cui vuole bene. Includere significa aggiungere, non abolire". La mancanza di una figura genitoriale nel mondo di un bambino, non puó essere presa come pretesto per eliminarla anche dal mondo degli altri. Puó, invece, essere un momento fruttuoso, di riflessione. Di comunione. Di appoggio. Di condivisione. Chiaramente esiste anche un tempo che è sacro. Intoccabile. Un tempo del dolore, un tempo da difendere. Un tempo di morte, di silenzio, di vuoto in cui il bambino va tutelato e consolato. E l'insegnante è lì. Pronta ad accogliere, ma anche a preparare il terreno; pronta a seminare, ma anche a zappare attorno alle radici; pronta a sostenere e accudire, ma mai a mentire, mai. L'insegnante è colei che lentamente, delicatamente, pazientemente, dolcemente, conduce al desiderio della ricerca della verità. Della verità che c'è dentro ciascuno di noi. E nelle nostre radici c'è parte fondante di quella verità. E guai a chi si arroga il diritto di nascondergliela.
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