Francesca Centofanti
di Pier Paolo Gobbi
Camminano tenendosi per mano, con i loro vent'anni belli, fatti di desideri e promesse. Lui cammina con passo sicuro, lei è elegante sui tacchi alti, ogni tanto rallenta, quasi si ferma, poi riparte camminando piano. Le fanno male i piedi. Parlano di loro, del domani? O forse no, solo di dove andare a bere qualcosa stasera. "Buona vita ragazzi, non sprecatela mai, non vivete per meno di questa promessa", mormoro a labbra chiuse, per loro che potrebbero essere miei figli. Ora lui si ferma accanto a un muretto, la fa appoggiare di schiena, le sorride e senza dire niente si inginocchia e le sfila le scarpe belle che la alzavano di dieci centimetri. Poi si toglie le sue Adidas e gliele offre: mettile tu. Lei sorride sorpresa, illuminata, le infila e anche il cielo intorno sembra respirare meglio. Riprendono a camminare. Lui, con le sue calze bianche che dopo pochi passi già non lo sono più, tiene le scarpe eleganti di lei nella mano sinistra. Lei con le scarpe troppo grandi di lui, che gli danno un'aria un po' buffa. Vanno, verso un bar dove bere qualcosa o forse verso una vita più grande oltre questa sera d'estate, chissà. Che a volte poi l'amore anche dopo tanti passi insieme è proprio questa strana elegante buffa promessa quotidiana di qualcosa... (scusate ragazzi se vi ho fatto questa foto da lontano ma eravate troppo belli e vi volevo ringraziare perchè mi avete ricordato che anche io per meno di così non devo vivere. E che un paio di Adidas un po' sfondate le devo avere...)
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54 e sto E chi lo dice che il compleanno è il giorno più importante delle nostre vite? Vero è, che se non fossimo venuti al mondo, nulla sarebbe accaduto. Ma vero pure è che si può nascere, ma vivere come morti che camminano. Che si può avere ricevuto la vita e non esserne affatto grati. O indifferenti. Che si può essere vivi e non volerlo essere più. Ed è per questa consapevolezza che ogni volta che arriva questo giorno, oltre ad avere una gratitudine immensa per la vita che mi è stata donata, mi commuovo profondamente per la seconda che mi è stata regalata. Gratuitamente. Per il giorno in cui il mio cuore ha ricominciato a battere. Per le ferite sanate. Perché non era detto che ne sarei uscita, e invece sì. Per il centuplo che mi era stato promesso e che è arrivato senza che io facessi nulla. E vi giuro non l'ho pagato, non mi sono venduta un rene, non ho camminato sui ceci in ginocchio a sconto dei miei casini. Per la me di prima che non riconosco più, ma che è la mia storia, benedetta. Per la me di oggi, che non mi manca nulla e ciò che desidero è tutto quello che ho. Mio marito. I miei figli. Gli amici, i fratelli. La famiglia. La fede, soprattutto per questa che senza, tutto il resto non avrebbe il sapore che ha. Grazie ad ognuno di voi❤️ (nei video qui sotto sono molto più giovane ovviamente 🤣🤣🤣) E anche quest'anno è finito. E un misto tra goduria e già nostalgia mi pervade, come ogni fine anno.
Ho la necessità fisica di ricaricare le batterie, ma poi iniziano a scorrermi davanti tutti i bellissimi momenti passati insieme e, davvero, già mi mancano. Soprattutto quest'anno, che a parte una bimba, tutti andranno alla scuola primaria. Non ho più le forze di 30 anni fa, ma quello che mi dà la carica, pur essendo spompata molto più di prima, è che quando entro in classe non devo affannarmi ad insegnargli qualcosa, né ad inculcare nozioni nelle loro testoline. Non mi sento la loro maestra nel senso di "qualcuno" che sta più in alto. Quando entro in classe ho solo voglia giocare, parlare, discutere e farli discutere, divertirmi con loro. Ragionare insieme sulle cose che accadono: un litigio, una lacrima, una risata, un lombrico o la pioggia. Tutto può essere ricchezza a noi sconosciuta. Mi piace essere piccola e crescere con loro ogni giorno un pochino di più. E quante cose mi hanno insegnato. Quante dinamiche nei loro rapporti hanno aperto soluzioni nei miei, tra adulti. E poi dopo quasi trent'anni di insegnamento ho capito finalmente una cosa: chi sono quei bambini di cui Gesù dice "se non ritornerete come loro non entrerete nel regno dei cieli". Perché, in verità, in tutto questo tempo, vi assicuro, che me lo sono chiesto piú volte, ché avendone conosciuti tanti lo so che non hanno tutte ste virtù da poter essere presi a icone di santità. Anzi, alcuni sono proprio delle viperette. Altri invidiosi, egocentrici, maliziosi, addirittura cospiratori. Ma c'è una cosa che noi adulti abbiamo perso e loro invece hanno ancora, non per loro merito, ma proprio per il fatto obiettivo di essere "piccoli". Nel pericolo, nella paura, nella sofferenza, nei momenti bui e drammatici della loro vita, i bambini confidano totalmente nell'adulto di riferimento. I piccoli sono consapevoli che da soli non ce la possono fare, e che la loro salvezza risiede in quella persona di cui hanno completamente fiducia, la persona che li ama. Ecco. Questa, in due parole, è la fede. Bello eh? A tutti gli insegnanti che guardano i loro nanetti dal basso verso l'alto e da lì, intravedono il Cielo. Ieri nel giro di qualche ora, mentre giravo con la macchina per dei servizi, ho incontrato due ragazzine tra i 13 e i 15 anni.
La prima indossava dei pantaloncini jeans a mo' di costume tanga e l'altra camminava con la sua mano dentro i pantaloni (davanti) del fidanzatino (o solo amico, non so..), così, semplicemente passeggiando per Ostia. Ma cosa pretendiamo? Che esempi hanno da seguire queste ragazzine? Chi sono le loro eroine (che poi di eroine non si parla più, oramai esistono solo influenzer)? Da quali labbra pendono a quella età? Intorno a loro c'è il deserto, anzi in confronto il deserto è più fiorito. Ci sono più risorse nel Sahara che a disposizione di queste ragazze; che hanno imparato che se non mettono in mostra, non contano un cavolo. Se non fanno vedere tette e culo non se le fila nessuno e...che tristezza che mi è venuta. Che dolore...Perché davvero è così. E poi all'improvviso mi passa davanti l'immagine di una ragazza bellissima, di una semplicità devastante. Le sue foto sono di una dolcezza unica. Il suo sorriso è immanente. E nel suo profilo non c'è un seno. Non un sedere scoperto gratuitamente. E cerco di comprendere il perché. Qualcuno le deve aver insegnato cos'è il pudore (giuro che non è una parolaccia, cercate sul vocabolario). Qualcuno le avrà insegnato il rispetto verso sé stessa e, perché no, anche verso gli altri (che vedere culi e tette al vento non è per tutti una cosa da niente - pensiamo ad esempio agli anziani, ai sacerdoti...). Qualcuno le deve aver insegnato che non serve vendere il proprio corpo all'occhio del migliore offerente per essere qualcuna, e che non si deve essere per forza "qualcuno", soprattutto se per esserlo si deve passare obbligatoriamente per il denudarsi. Qualcuno le ha insegnato ad amarsi talmente tanto da non aver bisogno di quei maledetti likes o degli sguardi maschili per sentirsi bene. Per sentirsi bella. Qualcuno l'ha amata talmente tanto da essere felice alla pazzia per quello che ha e per quello che è. Così. Ora. E allora penso che forse alle altre ragazze è mancato proprio questo. La cosa più importante: sentirsi amate. Forse le è mancato sentirsi dire che andavano bene così com'erano. Che erano belle, senza bisogno che facessero altro. Qualche volta mi capita di uscire più grata da un funerale che da un matrimonio. Può sembrare una follia, lo capisco.
Ma, solitamente, i matrimoni sono l'inizio di qualcosa che ancora non si vede. I funerali sono, in apparenza, la fine, ma anche il momento in cui qualcosa, invece, si vede: ciò che siamo stati. E non basta qualcuno che ti esalti post mortem, come a volte accade. No, non bastano due frasette dolci per annoverati improvvisamente fra i santi. Perché quello che hai fatto in vita o ha lasciato un segno o non l'ha lasciato. Questo è. Semplice come un bicchier d'acqua. Gianfranco non lo conoscevo bene, ma non è che servisse conoscerlo a fondo per capire chi era. Perché bastava guardare il suo sorriso quando lo incontravi per strada. Eppure motivi per maledire la vita ne aveva a iosa. Ma come ha detto don Angelo nell'omelia di stamattina, al suo funerale: ci illudiamo che la nostra felicità e la nostra serenità dipendano da ciò che abbiamo, da quello che ci manca. Dalle cose, se ci vanno storte o dritte. Invece non è così. E Gianfranco ne è stata la prova vivente. Puoi avere tutto ed essere perennemente arrabbiato. Puoi stare incollato su una sedia a rotelle da più di vent'anni e saper ancora sorridere alla vita. Ecco i testimoni di cui parlavo qualche giorno fa. Quelli che ci indicano che c'è tanta bellezza da scoprire, anche nelle sofferenze. Anche nelle cose che non vanno secondo i nostri piani. Quelli che, durante la loro esistenza su questa terra, invece di camminare verso la polvere, hanno camminato verso la vita eterna (cit. Don Angelo) e ne hanno lasciato segno e traccia nei cuori di chi gli è passato accanto. Di chi li ha anche solo appena sfiorati. Grazie Gianfranco, e grazie anche a te Maria Carla, testimone di un amore divino❤️ Ogni giorno cerco di ricordare cosa mi ha attratto a Dio e cosa mi attrae, ancora oggi.
E mi domando - con dolore questa volta - perché ai giovani (non tutti, ma molti) non interessa assolutamente nulla. Mi chiedo quale sia il motivo per cui non sono neanche lontanamente curiosi anche solo di incontrarlo per poi decidere, una volta conosciuto, se mollarlo o tenerselo stretto. Io avevo domande. Dubbi. Ferite che nessuno riusciva a curare e che forse neanche io sapevo di dover curare. Non avevo voglia di vivere. Anzi, avevo dei vuoti che non si colmavano con niente e la vita mi pesava addosso come un macigno. Ogni cosa che facevo o che ottenevo era sufficiente a lasciarmi il cuore lieto per non più d'un paio d'ore. Poi tutto ricominciava, e ricominciava anche la ricerca di quel qualcosa con cui riempire il mio vuoto. Un vuoto che era doloroso. È stato l'incontro con Cristo a farmi capire che quella fame era fame di eternità. E da allora, è stata l'eternità che ho iniziato a cercare. Ho smesso di ubriacarmi, ho smesso di farmi le canne, ho smesso di cercare affannosamente situazioni che mi dessero quella scarica di gioia che si dileguava in pochi minuti e mi lasciava affamata come e più di prima. Ho smesso di essere cibo per qualcun altro, ho smesso di sfamare con me stessa qualcun altro ed ho iniziato a godere di ogni singolo attimo della mia vita come qualcosa di miracoloso. Come fosse l'ultimo della mia vita. Ho iniziato a guardare più alle mie mancanze che a quelle altrui. Ho iniziato a sentirmi amata anche quando ero un macello. Ho iniziato a capire che tutto quello che capitava nella mia vita, roba bella e roba brutta, era un tassello che non andava buttato via. Ho capito che amare era ancora più bello di essere amati, ché era vero che donando la vita la ricevevo centuplicata. Oggi fatico. Ma so che Lui agisce. E so che è in queste cose che ritrovo me stessa e che solo lì l'eternità può farmi capolino. Forse ai ragazzi manca chi fa loro presente tutto questo. Mancano testimoni. Io questa grazia l'ho ricevuta. Ho incontrato angeli. Persone che mi hanno fatto questo servizio: Sandro, Maurizio, Wolfgang, Guillaume, Fernando e tanti altri... E oggi resto aggrappata al bene che hanno fatto in mio favore e all'amore che gratuitamente mi hanno lasciato. E resto aggrappata a quella gioia che non va via, che non ti lascia un sorriso di un attimo, ma ti fa godere di ogni singolo pezzetto di paradiso che puoi vivere giá qui sulla terra. E allora prego per tutti i ragazzi, perché possano provare sulla loro pelle, dentro la loro anima, anche solo per un momento, quanto è bella la vita di chi, veramente, incontra Cristo. E prego per me perché, per prima, possa essere testimone di questa bellezza. In foto: io alla GMG di Denver 1993 Ho sempre ritenuto una palla mostruosa andare dal parrucchiere. Piuttosto preferivo lasciare crescere i capelli per inerzia e poi legarli.
Il motivo credevo stesse nell'idea che stare ferma un'ora e mezza mi sembrava un'enorme perdita di tempo con tutte le cose che avevo da fare tra lavoro, cucina, casa, fare da tassista per i figli e tutto il resto. Ecco, temevo di non riuscire poi a recuperare quell'ora sulla tabella di marcia. E così ho pensato fino a qualche anno fa, quando i figli poi sono cresciuti e quell'oretta di tempo cominci a trovarla se ti organizzi. Ma io dal parrucchiere ancora non ci volevo andare. E allora perché? Quale era il vero problema? L'ho capito solo ultimamente. Quando mi sono resa conto che, con una nonchalance unica, avevo preso appuntamento dopo soli tre mesi dall'ultimo. E cos'è successo? Sapete cosa? Ho trovato la parrucchiera che fa per me: è muta, non parla. Ma non muta muta. Semplicemente non le piace chiacchierare. È cosi che ho capito cosa rendeva allucinante quell'ora e mezza: le interminabili chiacchierate, dal principio alla fine senza riuscire a prendere respiro tra una frase e l'altra. Chiacchierate che la maggior parte delle volte si inerpicavano su argomenti molto interessanti come il nuovo colore degli smalti in voga, la mala sanità, i vips di turno, Maria de Filippi, uomini e donne, che tempo farà, che palle sta società, tutto va storto e stavamo meglio quando stavamo peggio .... Invece lei è muta. Io mi siedo, lei mi fa lo shampoo, mi massaggia la capoccia e io in silenzio, dormo. Non devo pensare alla prossima cazzata che dovrò dire, alla risposta che mi dovrò inventare, a come riempire quel silenzio tra un argomento e l'altro....io semplicemente, dormo. Finalmente. Dormo. Mi risveglio. E ho i capelli fatti... Sono stata insegnante di sostegno per 17 anni. Poi, non so se vi ho mai raccontato, che per aver inconsapevolmente messo un flag dove non avrei dovuto, mi sono ritrovata ad insegnare su classe. Ho pianto per una settimana (a 42 anni e già 4 figli). Ho pianto a dirotto perché quel posto io non lo volevo.
Volevo restare coi miei bimbi e con le loro famiglie - spesso mamme - formidabili eroine. Quante cose vi potrei raccontare e "quante cose ho visto che voi umani..." e non è un modo di dire. Ogni tanto le guardavo e mi chiedevo: "ma dove la prendono la forza?" Non volevo lasciarli, perché in quel mondo non siamo noi insegnanti ad insegnare, ma sono i bimbi e le loro famiglie a lasciare segni indelebili nelle nostre vite. E oggi, quel mondo, sono costretta a guardarlo un po' a distanza, perché se stai su classe, l'interazione è diversa e la santa invidia è tanta. Ma la bellezza che porta con sé la presenza di questi bimbi, non me la sono mai lasciata sfuggire. Soprattutto quelli con i quali questa presenza all'interno della classe è viva. Quelli a cui bisogna fare spazio e toglierne un po' a noi. Quelli che non è più "io" ma "tutti". E che meraviglia accorgersi che non lo facciamo solo noi, ma anche loro, i nanetti. E che non è per impegno, non uno sforzo. Ad un certo punto gli viene così, come se niente fosse. E allora con commozione guardi la tua classe che si cuce, piano piano, addosso a quel bambino e tutto diventa normale, anche ascoltare le storie con lui che parla ad alta voce come sottofondo. O che gira per la classe. Guardi i tuoi nanetti e vedi che sono loro che lo cercano, che cercano un contatto, pur sapendo che non usciranno parole, ma chi se ne importa! Perché sono loro i campioni di relazioni mute che urlano emozioni forti. E che gratitudine per il bagaglio che si porterà dietro chi avrà avuto il dono di poter stare con loro. E se ne accorgeranno solo più tardi, quando vedranno che hanno un'attitudine diversa dagli altri, da chi questo dono non l'ha ricevuto. Perché sapranno amare ciò che sembra diverso, ma che poi molto diverso non è, perché l'amore ci accomuna tutti nella stessa maniera. A meno che voi abbiate avuto una madre che non si è mai messa di traverso, o che ne abbiate avuto una che vi ha detto sempre sì a tutte le richieste o che si sia sempre fatta gli affari suoi senza mettere bocca sulle vostre decisioni. A meno che non abbiate avuto questa fortuna (😁), tutto il resto delle mamme, di solito, durante la convivenza con i figli soprattutto nel periodo adolescenziale, appaiono ai loro pargoli solo delle grandissime cacacaxxi.
E non mi scuso per il francesismo, perché tanto so che l'avreste voluto dire anche voi, ma non avete avuto il coraggio di farlo. E anche mia madre era così. Cioè ai miei occhi di ragazza sembrava una rompiscatole da premio Oscar. Ovvio che io gliene davo modo - è il mestiere di ogni figlio - però insomma ritrovarsela alle tre di notte affacciata alla finestra mentre mi urlava impropèri contro, svegliando di conseguenza tutta la piazzetta non era molto piacevole. Oppure quando mi veniva a cercare per le stradine di Palocco ché non sapeva che fine avessi fatto interrompendo con una strillata qualsiasi cosa stessi facendo - qualsiasi. O quando non voleva che vedessi quelle serie tipo Saranno famosi o Flashdance, o i film di Dario Argento perché per lei non erano adatti alla mia etá (ovviamente pensavo di essere l'unica sulla faccia della terra a cui veniva vietato) . O quando non voleva che andassi in vacanza con il ragazzo di turno o alle medie quando mi vietava di andare alle feste dove abbassavano le serrande durante i balli lenti.... vabbè potrei stare qui fino a domani mattina e andare avanti col mio elenco ma oggi, di tutta sta roba che in quei momenti mi faceva accartocciare il fegato, non mi resta un briciolo di niente. Rancore, stizza. Fastidio. Nulla. Invece quello che mi resta di quel tempo in cui stavamo sotto lo stesso tetto, è il modo in cui ha amato mio padre. Mi è rimasto scolpito nel cuore lo sguardo che aveva su di lui, uno sguardo vero, profondo che lo trapassava da parte a parte, e non è che non volassero i piatti a casa mia - ogni tanto mi mettevo per le scale a guardare i loro battibecchi. Ma alla fine quello sguardo vinceva sempre su tutto il resto. Poche cose mi sono rimaste nell'anima in modo così prepotente. Il tuo sguardo su papà è una di quelle e lo porto ancora oggi, nel cuore. Grazie perché mi hai regalato i tuoi occhi di madre e di moglie. E grazie perché una mamma migliore di te non l'avrei potuta desiderare. Buona festa della mamma a te, e anche a tutte le mamme cacacaxxi come me ❤️ Non sono una persona molto coraggiosa, anzi mi sono sempre definita abbastanza paurosa (forse come conseguenza di tutti gli scherzi che mi hanno fatto i miei fratelli quando ero piccola).
Se il tg dà la notizia dell'orso nel bosco, evito il bosco. Se c'è il cinghiale nella pineta, meglio il lungomare. Se cade una cabinovia, per un annetto mi trasformo in un'atleta in erba, pronta a fare 1000 mt di dislivello. E così al mare per gli squali, e al buio per i ladri, e in aereo per il triangolo delle Bermuda (vi precedo, visto che mi direte: "l'aereo? ma come? il mezzo più sicuro che c'è!!"), e in macchina per il gatto che improvvisamente potrebbe passarci davanti in piena autostrada del sole e allora 'non andare a più di 110 che non mi sento così sicura..' Vabbè, ho reso l'idea. A casa mia la paura fa 90. Però poi mi tornano alla mente altre situazioni in cui sarei dovuta scappare a gambe levate per il poco coraggio che mi contraddistingue e invece sono restata, e non solo. Ho preso decisioni, ho agito, sono rimasta lucida davanti a cadute che hanno provocato l'apertura di un mento e sangue a fiotti, oppure la perdita di denti o incisivi conficcati nelle gengive. O la scivolata su un masso, con conseguente rischio di rotolata giù per una cascata di una decina di metri - che non c'ho dormito per tre notti ma lì in quel momento, c'ero. Allora mi sono chiesta il perché di questa mia dicotomia. E mi è venuta in aiuto una frase che ho sentito spesso, senza mai capire chi l'abbia effettivamente scritta: "Il contrario della paura non è il coraggio, ma l'amore". Eccola la spiegazione!! È nelle situazioni dove un'altra persona è in pericolo che l'amore vince sulle mie paure e allora riesco a tenere per 5 interi minuti due bambini di 5 anni dal cappuccio del loro kway, in bilico sopra un'asse di legno bagnata, su una cascata alta 10 metri, che a guardare giú ti vengon le vertigini. Ed è consolante e forse anche di speranza per qualcuno allora, che pure un coniglio come me se dovesse trovarsi su un aereo in picchiata sul Triangolo delle Bermuda, forse potrebbe trovare il coraggio per aiutare il vicino di posto, se mai dovesse avere qualche difficoltà durante lo schianto (sono sarcastica chiaramente, nello schianto sul triangolo delle Bermuda c'è poco da aiutá😁). |