Francesca Centofanti
Che Cristo sia voluto morire per noi, è storia. Anche chi non crede, non può negarlo. È storia, raccontato, scritto nero su bianco (Rm 5,8; Rm 5,10 ecc…).
"Mamma, sai che è? Che io pensavo che Gesù era buono, era gentile con tutti, faceva i miracoli per togliere le malattie. Insomma pensavo che era una persona tanto buona. Invece lui si è proprio fatto torturare e ammazzare per noi" - diceva mio figlio a 6 anni. Eh già, è proprio così, e lo ha fatto non quando assolvevamo tutti i precetti, non quando eravamo sufficientemente bravini, o quando andavamo tutti i giorni a messa. No, è morto per noi quando eravamo lontani, nemici, peccatori, assassini, ladri, prostitute. Quando gli gridavamo in faccia, spavaldi nella nostra adolescenza: "a me di te non importa un fico secco". Quando avevamo deciso di farci la nostra vita senza di Lui, mettendo al centro noi e solo noi stessi. Quando abbiamo scelto il male, consapevoli della scelta fatta (perché a chi è stato messo un seme, è stato consegnato anche il discernimento che lo sappia o meno - il problema è volerlo utilizzare). Quando ci siamo venduti per una manciata d'affetto, pensando così di colmare quei vuoti che solo Lui poteva colmare. Quando abbiamo ferito, sapendo di ferire. Quando ci siamo tappati bocca naso e occhi e fatto della nostra vita una miserabile fogna. Quando abbiamo mentito, per uscirne puliti, apparentemente. Quando abbiamo disprezzato chi ci amava, e ci indicava Te. Quando abbiamo pensato che la vita non fosse degna di essere vissuta (allora meglio un frontale sulla Colombo e via). Quando abbiamo visto, creduto, toccato e malgrado questo, abbiamo rinnegato. E’ proprio lì, in quegli abissi, che Cristo ci ha guardato e amato. E’ proprio lì che, per noi, si è fatto flagellare, sputare, denigrare, tradire, uccidere, per noi. Per noi, e a prescindere da noi. Ogni venerdì Santo mi ritrovo lì, all'ora nona, sotto quella croce. E dopo avergli ficcato i chiodi nella carne, alzo gli occhi e lo guardo. Dopo averlo ucciso, nella mia impazienza, nella mia ingratitudine, la mia cattiveria, la mia malalingua, i miei giudizi, nel mio menefreghismo. Dopo averlo inchiodato a quella croce, ogni volta, alzo gli occhi verso quel volto tumefatto e sento, tra il vociare della gente che è lì sotto con me: "Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno". E piango. Piango di gioia, perché non solo mi ama, ma mi perdona per averlo schifato. E come il centurione non ho altre parole da dire: «Veramente, costui era Figlio di Dio». E quando senti di essere stato amato cosí, quando facevi davvero schifo (come dice Franco Nembrini), il tuo sguardo verso chi ti ferisce, chi ti uccide, chi ti fa trovare la sedia fuori della classe perché tu non possa varcare la soglia, cambia. Ma cambia non perché sei bravo, non perché hai la forza - perché tu quella forza lì non ce l’hai. Cambia, perché dopo aver visto Cristo morire per te, non puoi fare altro. Cambia, perché tu sai di non essere diverso da chi ti uccide, da chi ti denigra, da chi ti frega o ti calunnia, tu non sei diverso. Forse solo un po' più educato, forse sai venderti un po’ meglio, ma nel tuo profondo sei infimo come lui. A volte peggio. E nonostante questo, sei stato ugualmente cercato, infinitamente amato. Fin sulla croce, fin su quel letto d'amore in cui Cristo ha scelto volontariamente di incontrarci.
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